ARTICLES (2015)
January 2015: Freelance Journalist for La Cronaca (Piacenza’s daily newspaper) and for the Corriere Padano (Piacenza’s weekly newspaper)
Il videomaker Maccagni: “Ho trasformato la passione in lavoro”
On Corriere Padano
«Bisogna lavorare molto per lasciare una traccia positiva dietro di sè [...] per creare un giro e una professionalità». Con queste parole Federico Maccagni, giovane videomaker piacentino, descrive il proprio ambiente di lavoro, un campo che richiede, sicuramente almeno all’inizio, una dedizione totale.
Fin da bambino le grandi passioni di Federico sono il mondo dei fumetti, dell'animazione e il cinema. Dopo aver frequentato il Liceo della nostra città, decide di studiare per trasformare i suoi interessi in un vero e proprio lavoro. Nel 2005, infatti, s’iscrive al Dams di Bologna dove segue il corso di Cinema e nel 2008 si trasferisce a Milano per studiare Digital Film Making al SAE Institute. Qui inizia a lavorare nel settore e a crearsi contatti che ancora oggi porta avanti.
Oltre ad occuparsi del processo video produttivo a 360°, si specializza in Motion Graphic 2D ed essendo estremamente appassionato di viaggi realizza documentari come Highway To Khan – reportage girato on the road verso la Mongolia – e Diario in Bolivia.
Caparbio come tutti i nati sotto il segno del Toro, Federico, sul lavoro mira sempre all'eccellenza e al perfezionamento delle proprie capacità, senza però peccare di arroganza. Da sempre, infatti, punta sulla collaborazione con altre professionalità, lavorando spesso in team, per incorporare, in tutti i progetti lavorativi che segue, capacità specifiche che gli consentano di raggiungere il miglior risultato.
Da più di due anni Federico collabora in pianta stabile con altri giovani piacentini del settore audiovisivo. Grazie al supporto dell’Associazione Concorto, che li ha ospitati fino a qualche mese fa nella sede di Cinematica in via Roma, ha, infatti, iniziato a lavorare insieme a Marcello Lega, Luca Maniscalco e Giulia Ripa coi quali ha in seguito deciso di fondare That’s Motion.
Nel 2014 il progetto That's Motion ha vinto il bando Giovani Idee d'Impresa del Comune di Piacenza, un aiuto economico fondamentale per la creazione dello studio sullo Stadone Farnese, al numero 17.
Al quartetto originario si sono adesso aggiunti altri giovani – Chiara Granata, Marcello Marchesini e Antonello Belgrano –, che al momento, per ragioni fiscali, continuano a lavorare con le loro partite iva singole, ma che condividono l’obbiettivo di fondare una vera e propria società.
Lo studio, ad oggi, annovera tra i suoi clienti più importanti Coca Cola, Allianz, Eni, Telecom e tanti altri colossi nazionali ed internazionali. I punti forti dello studio sono sicuramente uno standard qualitativo elevato, le garanzie che solo un Team può dare – inarrivabili dal singolo freelance – e la continua ricerca di una crescita professionale che solo la spinta dettata da una connaturata passione può generare. «In questo settore c’è tanta concorrenza, è un mondo che cambia velocemente e non sempre le competenze bastano», ci spiega inoltre Federico.
Anche la scelta di aprire uno studio a Piacenza, sottolinea Federico, non è stata lasciata al caso. Pur non essendoci un grande mercato in questo settore, la piccola realtà provinciale permette al collettivo di avere costi di produzione molto più ridotti rispetto alla media dei videomaker delle metropoli, e quindi di lavorare con la leggerezza che manca ad una casa di produzione standard.
Il lavoro di Federico, e con lui quello dei suoi amici-colleghi, può consistere nella creazione di un prodotto dalla A alla Z, quindi dalla fase di scrittura del concept, alle riprese e al montaggio, per finire con la parte grafica, oppure – ed è la modalità principale in cui lavora That's Motion - possono essere contattati da un'agenzia per la realizzazione del montaggio e dell'animazione digitale finale del prodotto. E’ un mestiere che richiede molti sacrifici, non ci sono, infatti, orari prestabiliti nè weekend assicurati.
Armodio alla Famiglia Piasenteina
On La Cronaca
L'artista piacentino Armodio è stato il protagonista dell'incontro tenutosi ieri pomeriggio presso la sede di Famiglia Piasinteina nell’ambito della rassegna L'Arte si presenta.L'incontro, presentato da Stefano Pronti, ha messo in luce la produzione più recente del pittore, sottolineando come, pur rimanendo fedele agli elementi primigeni della sua opera – metallo, marmo, carta e, a livello figurativo, fiori, caffettiere e maschere –, abbia operato su di essi una progressiva metamorfosi che li ha investiti di una carica di energia. Si tratta, infatti, di “nature morte che non sono affatto morte” spiega Pronti, ma che al contrario sono imprigionate all’interno di azioni sospese.
Classe 1938, Armodio fin dagli esordi negli anni ’50 dimostra un ampio interesse per le sperimentazioni e per le contaminazioni artistiche. Insieme ad amici e colleghi - Gustavo Foppiani e Carlo Bertè nello studio di via Campagna 43 - si interessa alle più varie manifestazioni culturali e artistiche dell'epoca, intenzionato a leggere la realtà attraverso uno stile ironico e metaforico del tutto personale. “Armodio non è etichettabile, non appartiene a nessun filone, è un Realista Fantastico” ha dichiarato Pronti. Le sue nature morte, infatti, paragonabili per raffinatezza cromatica e grafica a quelle di Giorgio Morandi, nascono da uno studio puntuale ed approfondito del gioco tra luce e ombre, tra tonalità e sottotonalità di un unico colore.
Attraverso una continua ricerca sulla luce e una stesura uniforme ed al tempo stesso porosa del colore, Armodio da forma ad oggetti ambigui che, miscelando realtà e fantasia, suscitano stupore nell’osservatore. Al termine dell’incontro ha tenuto, infatti, a precisare che secondo lui “Il colore non esiste, è una costruzione del cervello” e che quindi ogni singolo occhio traduce la luce e le ombre in un modo totalmente personale.
Femminile Plurale: sguardi femminili a confronto alla Galleria Biffi Arte
On La Cronaca
Femminile, plurale, la rassegna in tre atti curata da Alessandra Redaelli per la Galleria Biffi Arte e per Palazzo Pirola a Gorgonzola, è giunta al terzo ed ultimo capitolo. Dopo aver scandagliato pensieri intimi, ricordi e momenti d’introspezione dell'universo femminile - L'interiorità, lo sguardo dentro (25 gennaio 2014/ 09 marzo 2014) - ed aver mostrato come, anche nel rapportarsi alla realtà esterna, la donna attui una riflessione profonda e penetrante del mondo e delle situazioni quotidiane - Lo sguardo sul mondo (27 giugno 2014/ 03 agosto 2014) - la rassegna è giunta ad indagare Gli spazi del Sogno, cioè appunto i sogni - o gli incubi - più segreti e le aspirazioni - o fantasie - mai confessate.
3 atti, quindi, e 35 voci - tra le più originali ed inconfondibili dell’arte italiana al femminile dell'ultima generazione - volti ad indagare l'universo femminile nella sua totalità.
Proprio come i sogni, le emozioni e gli istinti, di cui la persona non è consapevole, rimangono celati in profondità nella dimensione psichica inconscia fino a quando non trovano una via di fuga, la mostra si svolge nella sala sottostante della Galleria. Una location azzeccatissima per parlare della dimensione onirica.
Se i dipinti di Jara Marzulli e Giovanna Lacedra, realizzati principalmente ad acquerello, e le sculture in vetroresina di Annalù rimandano ad una concezione liquefatta, fragile ed indefinibile, della dimensione onirica, per sottolineare la sua natura instabile ed imprevedibile, al contrario gli spazi architettonici brulicanti di icone del design delle tele di Ieva Petersone e quelli incantati che tengono prigioniere le fanciulle di Ilaria Del Monte ricongiungono i sogni alla realtà quotidiana in cui viviamo. Le installazioni di Florencia Martinez e Federica Gonnelli, giocano, invece, sulla dicotomia tra accogliente e minaccioso. La prima costruendo un salottino accogliente e morbido perchè totalmente ricoperto di stoffa ancorché minaccioso in quanto irto di aculei, la seconda creando una videoinstallazione ambientale che narra storie di vita che al tempo stesso seducono e ipnotizzano come un incantesimo maligno. Lo spazio del sogno di Adele Ceraudo è invece rappresentato dal suo stesso corpo, attraverso il quale l’artista ricrea scene dell’iconografia classica riadattandole allo spirito contemporaneo. Alice Colombo, Chiara Coccorese e Francesca De Pieri hanno scelto di utilizzare il mezzo fotografico per trasportarci nel loro mondo dei sogni. Una raccontandoci più storie concatenate una dentro l’altra come in un gioco di scatole cinesi, l’altra trasportandoci in mondi spaventosi e terribilmente seducenti dove nulla è quello che sembra, e l’ultima mostrandoci una natura misteriosa e palpitante che ipnotizza ed estrania.
Luca Migliorini alla Galleria Biffi Arte: Profondamente
On Corriere Padano
Ingegnere nelle ore d'ufficio, Luca Migliorini (Piacenza, 1963) indossa i panni di fotografo appena gli è possibile trasformandosi in un vero e proprio costruttore d’immagini.
Fin dai primi scatti (risalenti agli anni 70), Luca Migliorini si dimostra interessato ad un utilizzo espressivo e riflessivo dello strumento fotografico, tramite cui documentare e catalogare un territorio in continua metamorfosi. Nella serie di lavori dal titolo PRO.FONDAMENTE, allestiti alla Galleria Biffi Arte fino all'8 febbraio, l’artista, come un vero antropologo, astrae porzioni di realtà per ridestarle all'attenzione del pubblico e inserirle in una narrazione come i pezzi di un puzzle. Questa “astrazione” - letteralmente intesa come “staccare da” - traduce quella volontà primordiale dell'uomo di mettere ordine al caos per anestetizzarsi dal terrore dell’horror vacui.La fotografia contemporanea - ancor più inevitabilmente degli altri procedimenti artistici - si trova costretta ad un confronto, più o meno ostile, con il dispotismo livellatore di internet e, più in generale, dell'immagine tecnologica. Luca Migliorini, come tanti altri, ha scelto di sfruttare la vasta gamma di possibilità manipolative dell'immagine digitale, proprio per combattere la cieca visione del mondo trasmessa da internet e restituire importanza a porzioni di spazio ed a momenti quotidiani in apparenza banali. La fotografia, quindi, come ponte tra passato, presente e futuro, come strumento di memoria che impedisce al tempo di cancellare un ricordo, uno specifico momento in uno specifico luogo.
E sono proprio luoghi in continua metamorfosi e caratterizzati dall’assommarsi di macerie e memorie passate quelli che Migliorini fotografa, imprimendo su pellicola spazi di transito, scorci di architetture e porzioni di ambienti domestici, in cui la sensazione di abbandono e degrado avvolgono lo sguardo dell’osservatore.
Negli scatti di PRO.FONDAMENTE , pervasi da forti riferimenti (iconografici) alla tradizione della fotografia italiana di paesaggio, ed in particolar modo a Viaggio in Italia di Luigi Ghirri, è la natura ad esercitare questa funzione iconica.
In questi ultimi lavori Migliorini opera uno sposalizio tra le tecniche della fotografia digitale e la trama pittorica - ottenuta facendo ricorso a processi che risalgono ai primordi della fotografia come la dagherrotipia e il fotodinamismo futurista, per citare solo i principali – realizzando immagini indefinite, più simili a carboncini, in cui tutto appare avvolto dal silenzio misterioso del grande fiume Po.
"Ho preso il Jazz per la coda" Le foto in bianco e nero di Carlo Verri al Baciccia Caffè Letterario
On Corriere Padano
Sguardi, gesti ed echi musicali sono i protagonisti delle storie narrate dalle fotografie in bianco e nero di Carlo Verri. Da Bill Evans a Ella Fitzgerald, fotografati in Italia rispettivamente nel 1979 e nel 1984, a Miles Davis ritratto a Lugano nel 1987, a Ron Carter ripreso in Olanda nel 2001, il fotografo milanese ha immortalato un quarto di secolo di storia del Jazz, rendendo eterni gli interpreti e la musica di un’epoca d’oro che stava volgendo alla fine.
Ho preso il Jazz per la coda è la mostra allestita al Baciccia Caffè Letterario fino al 3 aprile, frutto di 25 anni di carriera di Verri, fotografo, e spesso anche amico, dei Big internazionali del Jazz. L’esposizione, nata dalla selezione di 30 degli scatti migliori pubblicati nel 2008 nel volume Jazz from A to Z, ripercorre, infatti, la carriera del fotografo dal 1978 al 2003.
“Ciò che mi ha spinto a cercare i miei personaggi è stato, prima ancora del desiderio di fotografarli, quello di conoscerli, di allacciare un rapporto umano con loro.” Con queste parole, Carlo Verri spiega, nel catalogo I colori del bianco e nero pubblicato nel 2001, le intenzioni celate dietro il suo lavoro, che altro non sono che quelle di cogliere e trasmettere il senso complessivo, le emozioni e le riflessioni suscitate dalla scena trascritta su pellicola.
Le sue fotografie sono solo apparentemente connesse a fatti precisi e a fenomeni circoscritti, in verità comunicano valori universali fuori dal tempo e dalla storia, catturando il cuore pulsante dei musicisti e lo spirito di quel periodo.
Carlo Verri (1952) si accosta alla fotografia intorno ai diciotto anni, indirizzando principalmente il suo obbiettivo sul mondo dello spettacolo e della musica, le altre sue due vere passioni.
Nel 1987 vince il terzo premio mondiale Jazz Photo ’87, indetto dalla rivista Jazz Forum di Varsavia, e, dopo aver partecipato nel 1988 alla realizzazione del catalogo dell’Estival Jazz di Lugano ( manifestazione tra le più importanti del settore) viene nominato direttore artistico del festival Rassegna Jazz Franciacorta fino al 1991. Negli anni seguenti, il suo interesse per il jazz si sviluppa non solo in ambito fotografico ma anche come pubblicista, curatore di interviste, organizzatore di concerti e collezionista di registrazioni di concerti live. Da più di trent’anni, collabora con riviste specializzate, pubblica volumi e realizza copertine di dischi. Nel 2001, a 21 anni dalla prima mostra dedicata ai suoi scatti, il Museo del Jazz di Genova ha acquistato l’intero corpus di fotografie esposte lo stesso anno a Palazzo Ducale.
On La Cronaca
Giuseppe Schenardi alla Famiglia Piasenteina
«Giuseppe Schenardi rientra in un genere artistico tutto suo, sperimentale, che si muove tra l’estetica pura e l’arte che ci chiama ad un giudizio concettuale». Con queste semplici ed al tempo stesso accurate parole, Enzo Latronico ha introdotto le opere del pittore piacentino Giuseppe Schenardi, durante l’incontro tenutosi ieri pomeriggio presso la sede della Famiglia Piasinteina.PAM – così firmava e veniva chiamato l’artista inizialmente da amici e colleghi – dagli anni novanta ad oggi, totalmente autodidatta, ha perfezionato la sua tecnica, cercando, come ha tenuto a precisare durante l’incontro, di «analizzare la realtà per poi trasfigurarla».
Pur avendo fondato, alla fine degli anni ‘90, il gruppo Narratori piacentini insieme ad Alberto Gallerati, Peratici e Chittofrati, ed esser stato inserito da Vittorio Sgarbi nella mostra dedicata al Surrealismo Padano nel 2002, Schenardi preferisce la definizione di Liberista Ermetico, in quanto cerca di «dire qualcosa di nuovo, libero da ogni tipo di moda imposta dal mercato delle gallerie e dal pubblico».
Durante il percorso di sperimentazione e sviluppo del suo stile, l’artista parte dalla rappresentazione di paesaggi – periodo in cui utilizza terricci del territorio piacentino per creare nuove tonalità di colore, come ad esempio la terra della Val Luretta caratterizzata da un colore giallo e quella della Val d’Arda tendente più al rosso – per poi dedicarsi alla figura umana, agli oggetti quotidiani e alla narrazione di momenti legati alla sua infanzia.
«Schenardi cristallizza nel tempo quello che lo attrae» precisa Latronico diventando «il pittore più cinematografico che ci sia, più felliniano di Fellini stesso»
La citazione si collega perfettamente ad alcune opere che l’artista ha esposto a Famiglia Piasinteina.
Il Rex, il transatlantico protagonista della celebre scena di Amarcord di Fellini, e il Faro della marina di Rimini de I Vitelloni, ritornano sulle tele di Schenardi in quanto episodi e ricordi appartenenti alla sua adolescenza proprio come a quella del regista.
I suoi ultimi lavori, Blu nebbia e Allusioni, molto diversi per soggetto e scelta dei colori sono collegati imprescindibilmente dal livello di trasfigurazione, ironia e simbolismo che raggiungono.
Ungaretti e l'arte del suo tempo
On La Cronaca
Da sempre, Arti Figurative e Letteratura si tengono per mano interpretando lo spirito del proprio tempo e testimoniando le evoluzioni e le contraddizioni della società, attraverso continui scambi e contaminazioni reciproche.
L’attività poetica e critica di Giuseppe Ungaretti si connota, sin dai suoi esordi ed in particolar modo dagli anni Trenta agli anni Sessanta, per la costante attenzione a tutti gli ambiti della creazione culturale: dalla pittura, definita «il primo linguaggio umano», alla musica, sentita come emblema dell’antica unità delle arti.
La mostra che si sta svolgendo alla Galleria Biffi Arte, a cura della storica dell’arte Angela Madesani, fa luce sui numerosi rapporti - in parecchi casi, come con Ottone Rosai, Carlo Carrà e Ardengo Soffici, di profonda amicizia – intrattenuti dal poeta con artisti, italiani e stranieri, che ammirò e per i quali si adoperò con passione scrivendo introduzioni a cataloghi e articoli su giornali e riviste.
Tra Jean Fautrier ed Ungaretti, che l’artista ribattezzò Ungà, ad esempio, nacque un’amicizia fraterna. Infatti, il poeta scrive sul pittore informale francese alcune fra le sue più belle pagine, pagine che si possono leggere in mostra.
«Quando mi ritrovo davanti alla pittura di Fautrier, la felicità – parlo di me, ma non mi pare possibile che non sia così per chiunque – la felicità che s’impossessa dei miei occhi è tale che certo non penso allora a ragioni, nè a scuole, nè ad altro che questa pittura possa suggerire» e ancora «i suoi dipinti [...] sono come se fossero vita vivente della natura [...].Nella sua pittura, e non ve n’è una oggi più originale, nulla gli è estraneo della cultura pittorica.»Il catalogo che accompagna l’esposizione, pubblicato da Nomos edizioni, raccoglie quasi tutti i testi ungarettiani di argomento artistico, compresi quelli non contenuti nel volume Saggi e interventi – il volume, pubblicato circa una quarantina di anni fa da Mondadori, era dedicato alle prose letterarie e ad alcuni testi di argomento artistico del poeta di origine toscana.
Sono esposte opere di Giacomo Balla, Mirko Basaldella, Umberto Boccioni, Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Bona De Pisis, Piero Dorazio, Jean Fautrier, Carlo Guarenti, Renato Guttuso, Arturo Martini, Enrico Prampolini, Ottone Rosai, Maria Signorelli, Ardengo Soffici, Lorenzo Tornabuoni, Wladimiro Tulli, Lorenzo Viani, solo per citarne alcuni.
Sono inoltre in mostra le fotografie che Ugo Mulas, Paola Mattioli e Leonardo Genovese gli hanno scattato nel corso del tempo.