FASHION AS SOCIAL ENERGY
Claudia Losi
“ Gli abiti che indossiamo sono per la maggior parte di noi troppo connaturati al nostro stesso essere perchè possiamo restare completamente indifferenti alla loro condizione: è un pò come se la stoffa fosse il naturale prolungamento del nostro corpo, o addirittura della nostra anima”
Quentin Bell, On human finery
Milano, città della moda, e nello specifico Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, ospitano fino al 30 agosto la prima mostra in Italia dedicata al rapporto tra Arte e Moda. Nella bellissima cornice cinquecentesca, le installazioni, i video, gli abiti e le immagini fotografiche di 14 artisti nazionali ed internazionali, mostrano come la moda sia “in grado di connettere persone e culture diverse, comportamenti e abitudini apparentemente lontani, occidente e oriente, economia e sostenibilità”, spiega l’assessore alla Moda, al Design e all’Innovazione Cristina Tajani (nel catalogo che accompagna la mostra). La moda, infatti, o per meglio dire gli abiti che indossiamo, sono più della semplice espressione individuale, sono il veicolo con cui il nostro corpo si rapporta con la società, perchè rispecchiano il gruppo sociale a cui ciascuno di noi appartiene. Molti artisti negli anni hanno utilizzato la moda per attirare l’attenzione del pubblico su questioni sociali di più ampia portata, servendosi, appunto, del potere della moda come energia sociale. “Comprendere la moda è esso stesso un modo di vedere il mondo” in quanto “rappresenta il luogo di traduzione culturale per eccellenza” scrive Anna Detheridge, curatrice insieme a Gabi Scardi della mostra progettata da Connecting Culture. “La moda, infatti, come l’arte, non si limita a rappresentare la realtà, ma agisce all’interno di essa e la alimenta, contribuendo al suo rinnovamento” aggiunge Gabi Scardi.
Le opere in mostra affrontano principalmente tematiche legate all’abito come simbolo di controllo e repressione individuale, come elemento che testimonia la polarizzazione della ricchezza e della povertà e il consumo delle risorse non rinnovabili, ed infine, come rappresentazione dell’inclusione e dell’esclusione sociale. Ad accogliere il visitatore è l’installazione-performance, volutamente inquietante, Pecking Order di Mella Jaarsma (Olanda, 1960) costituita da un abito che è anche un tavolo, fatto di pelle di gallina essiccata e apparecchiato. L’opera parla della sopraffazione insita nell’animale-uomo e della sua tendenza a definirsi attraverso il dominio. Sempre incentrata sul dominio e la repressione sociale è l’opera di Otto von Busch (Svezia, 1975) Fashion Police, in cui “uniformi” di una fantomatica moderna inquisizione sono accompagnate dalle pagine di un finto trattato sulla supremazia e il controllo esercitato da marchi dell’alta moda. Nasan Tur (Germania, 1974) ha creato una serie di zaini, Backpacks, ognuno dei quali con una precisa funzione e concepito per essere indossato dai visitatori e utilizzato nella propria vita quotidiana, che così facendo si trasforma in Arte, mentre, Luigi Coppola e Marzia Migliora (Italia, 1972) nell’installazione Io in testa si servono dei cappellini a barchetta fatti di fogli di giornale, creati dai partecipanti di un loro laboratorio nel 2013, come strumento per “mettere in testa la cultura come bene comune”. Katerina Seda (Repubblica Ceca, 1977) utilizza camicie identiche da lei disegnate – che compongono l’installazione For Every Dog a Different Master – per costruire relazioni tra i residenti di un quartiere residenziale della Repubblica Cieca; Maria Papadimitriou (Grecia, 1957) affronta il tema dell’abito e dell’abitare in riferimento alla cultura e all’estetica Rom, che si base sul riciclo e il riuso e che sopravvive immutata nei secoli. Rä di Martino, invece, ha girato il lungometraggio The Show MAS Go On nei grandi magazzini MAS di Roma, aperti all’inizio del secolo scorso e divenuti col passare del tempo i magazzini del popolo.
Il video di Kimsooja (Corea del Sud, 1957) e la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto (Italia, 1933) trattano il tema del consumismo; lei mostrandoci il processo di tintura e trattamento dei tessuti al Dhobi Ghat di Mumbai, destinati alla produzione dei capi che indossiamo quotidianamente, lui alludendo alla caducità delle cose materiali e della bellezza, determinata, appunto, da un sempre crescente ed incontrollato consumismo da parte dell’uomo. Andrea Zittel (USA, 1975) crea oggetti, arredi e indumenti, indipendenti dalle pressioni del mercato, come ad esempio le sue uniformi di feltro, che si prefiggono di alleviare l’ansia del “che cosa indossare” equivalente al chiedersi “chi sono, chi voglio essere” diventando, quindi, strumenti d’autodeterminazione. Vestimi è un’installazione di vestiti disegnati da giovani con disagi psichici in collaborazione con il collettivo artistico Wurmkos, fondato da Pasquale Campanella nel 1987. Questi abiti privilegiano le caratteristiche materiche, la funzionalità e il potenziale simbolico, allontanandosi dall’odierno culto dell’immagine. Le 4 Letter Jackets esposte da Claudia Losi (Italia, 1971), sono il frutto della trasformazione, ad opera del fashion designer Antonio Marras, della stoffa utilizzata nel 2004 dall’artista per creare una balena a grandezza naturale. Alle avventure ed agli incontri vissuti durante la loro vita da balena si sono aggiunte le storie e gli oggetti delle persone a cui sono state affidate temporaneamente, diventando così il veicolo di una narrazione collettiva. Le opere di Lucy+Jorge Orta (Regno unito, 1966; Argentina, 1953), Refuge Wear e Dome, impongono al visitatore una riflessione intorno alla possibilità di riciclare in quanto responsabilità sociale. Sono vecchi capi di abbigliamento riciclati, abiti nuovi creati attraverso l’utilizzo di cravatte, cinture o cerniere usate e strutture abitative realizzate con tessuti e indumenti, in grado di trasmettere un senso di comunità e convivenza.
IL CORPO NERO DI RICCARDO GIACCONI
Supernova SN 2006gy, L’interferenza di Young, Lucciole, Fuoco di Sant’Elmo e Crepapelle, sono solo alcune delle 60 piastrine di plastica che compongono il grande arazzo di Riccardo Giacconi allestito all’ingresso della galleria Placentia Arte, a Piacenza. Ciascuno dei diversi quadrati de Il Quadro Svedese illustra graficamente un fenomeno attinente alla luce e al suo studio, concepiti dall’artista in collaborazione con il fisico Alessio Del Dotto. La mostra personale Il Corpo Nero, infatti, è allestita sui due piani della galleria in modo tale da creare un percorso alla scoperta dell’origine, dei fenomeni e della mutua compresenza di luce, ombra e buio. Dopo aver superato la grande tenda colorata, che grazie alla sua monumentalità attira l’attenzione dei passanti, donando un’atmosfera unica ad una delle gallerie storiche di Piacenza, ci si ritrova abbracciati da una lunga fila orizzontale di disegni su carta, allestiti a mo’ di fregio, realizzati dal 2010 dall’artista marchigiano con ripetitività metodica, ispirandosi a fotografie, copertine di libri e paesaggi solitari incontrati nel corso della sua vita. Presentati per la prima volta in Italia, questi piccoli paesaggi in bianco e nero, nati dal perfetto incontro di puntini, trattini e forme geometriche minimali, scandiscono un percorso narrativo alla scoperta di mondi interstellari, terrestri e sottomarini. Quello che non c’è #4.4 fa parte di un progetto, iniziato nel 2009, dedicato alla relazione tra linguaggio e assenza. Sottraendo alle vignette e ai rebus le lettere che permettono al lettore di seguire la narrazione o di giungere alla soluzione dell’enigma, priva le immagini raffigurate del loro scopo, permettendo però così a chi le osserva la possibilità di raggiungere un nuovo livello di narrazione, soggettivo e unico.
Al piano interrato Riccardo Giacconi, Alessio del Dotto e Carolina Valencia Caicedo, che ha collaborato all’ideazione e all’allestimento della mostra, ci immergono fisicamente all’interno del Corpo Nero, una cavità completamente buia dotata di un piccolissimo buco da cui entra un filo di luce che viene intrappolata ed assorbita dall’oscurità. L’esperienza visiva è accompagnata da quella sonora. Una voce, infatti, spiega in un linguaggio non troppo “scientifico” cosa è e come funziona un vero corpo nero.
“E’ possibile immaginare dei corpi che, per spessori infinitamente piccoli, assorbano completamente qualsiasi raggio incidente, e non ne riflettano o trasmettano nessuno. Chiamerò tali corpi Perfettamente Neri, o, più in breve, Corpi Neri.”
Gustav Kirchhoff
A fuoco è un’installazione sonora, un episodio tratto dal film che l’artista ha dedicato alla poetessa Maria Luisa Spaziani, Chi ha lottato con l’angelo resta fosforescente, registrato proprio da quest’ultima, e che si affianca all’opera Gegenbild, un vetro affumicato che illuminato sul retro da una lampadina mostra un’immagine indefinita che si stacca dal buio.
Interessato da sempre agli aspetti psico-sociali, allo studio dei linguaggi e alla narrazione, come dimostra la decisione di fondare nel 2007 il collettivo Blauer Hase (con cui cura la pubblicazione periodica Paesaggi e il festival Helicotrema), Riccardo Giacconi, ha collaborato e si è confrontato negli anni, oltre che con Alessio Del Dotto e Maria Luisa Spaziani, con l’antropologo sociale Andrea Morbio e con molta della letteratura storica e fantascientifica.
Riccardo Giacconi ha esposto alla Biennale di Lione, alla Biennale di Praga, a Palazzo Reale (Milano), alla Fondazione Bevilacqua La Masa (Venezia), alla galleria Peep-Hole (Milano) e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino). Ha all’attivo una residenza a Viafarini (Milano), al Macro (Roma), e all’estero in Colombia e in Francia. Ha inoltre vinto diversi premi, tra cui il Reinaissance Arts Prize nel 2009.
Sarà una casualità che esista anche un Riccardo Giacconi premio Nobel per la fisica nel 2002?