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JULIET ART MAGAZINE ONLINE

September 2012 -  giugno 2016 Freelance Journalist 

WILLI BAUMEISTER 

Artista poco noto ai più, Willi Baumeister (Stoccarda 1889 – 1955), è il protagonista della mostra inaugurata a fine luglio al Mart di Rovereto e visibile fino al 23 settembre 2012.
L’esposizione “Willi Baumeister (1889-1955). Dipinti e disegni” offre al pubblico italiano un reportage minuzioso della produzione artistica di un maestro dell’arte astratta degli anni Trenta.
L’attività artistica di Baumeister, infatti, si contraddistingue per l’incessante desiderio di astrazione e per la ricerca di un’indipendenza di forma e colore che, ad incominciare dai primi quadri-parete e collages degli anni Venti, lo distingue dal panorama artistico tedesco.
Il percorso espositivo allestito dalla curatrice Alessandra Tiddia, costituito da 74 opere tra dipinti e disegni datati dal 1913 al 1955, guida il visitatore alla scoperta del processo di abbandono della figura umana sviluppato gradualmente dall’artista tedesco.
Forme geometriche fondamentali – rettangoli, triangoli e cerchi – combinate in strutture a rilievo e rinforzate con contrasti di colore e con l’impiego di materiali quali cartone, compensato e lamiere di metallo danno forma ad una modernità in grado di riflettere la trasformazione sociale e persino di anticiparla come arte d’avanguardia.
Attratto dalle pitture rupestri preistoriche, semplifica e schematizza progressivamente le forme, per creare delle composizioni ritmiche e dinamiche che ricordano i caratteri dei geroglifici. La simbolicità e la forza espressiva di pochi tratti gli sembrano più eloquenti della rappresentazione di elementi naturalistici.
L’attività di Baumeister nel campo della grafica pubblicitaria e della scenografia, sviluppate parallelamente a quella di stampo artistico, reggono senza timore il confronto con la sua opera pittorica.
Soprattutto grazie alla litografia, e a partire dal 1950 alla serigrafia, riesce a trasporre su carta stampata numerosi motivi della sua precedente produzione, in modo da poterli rendere più popolari e accessibili a un pubblico più vasto.

Anselm Kiefer a Milano in carne ed ossa.

Lo scorso 15 settembre ha inaugurato la mostra Der fruchtbare Halbmond - La Mezzaluna fertile alla Galleria Lia Rumma di Milano e chi ha potuto parteciparvi ha avuto l’emozionante opportunità di incontrare Anselm Kiefer in persona.
L’artista tedesco, esponente di spicco del Neoespressionismo, conosciuto in Italia soprattutto grazie all’installazione permanente dei Sette Palazzi Celesti all’Hangar Bicocca, infatti, ha partecipato alla kermesse milanese della galleria – galleria di rappresentanza dell’artista in Italia dal 1992 – riuscendo inaspettatamente a non rubare l’attenzione dei visitatori dalle opere esposte sui tre piani.
Il riferimento all’opera esposta all’Hangar Bicocca calza a pennello visto che con questa personale Anselm Kiefer prosegue la sua ricognizione della storia, spingendo il suo e il nostro sguardo verso un passato ancora più remoto, fino a raggiungere la terra delle origini.
Il titolo stesso del progetto espositivo, infatti, rimanda a quella “mezzaluna” di terra che va dall’antico Egitto alla Mesopotamia e nella quale si conviene unanimemente sia avvenuta la nascita della civiltà.
Attraverso la suggestiva scultura Bavel Balal Mabul – titolo che sintetizza onomatopeicamente la Torre di Babele, la confusione delle lingue e il Diluvio, episodi chiave del Libro della Genesi – e i lavori della serie The shape of ancient thought – lamiere di piombo su cui immagini fotografiche di templi greci e templi indiani si sovrappongono diventando un tutt’uno grazie agli effetti dell’azione chimica – Kiefer ci restituisce frammenti del passato in quanto universo ancora “fertile” per la costruzione del sapere futuro.

6 artisti a confronto con la condizione esistenziale.

Corpi e luoghi deformati, legati ed annullati, compongono il percorso che alla CCC Strozzina di Firenze indaga il tema dell’esistenza umana nella relazione tra individuo e collettività.
La tensione e l’isolamento umano causati dalla vita contemporanea sono analizzati attraverso la pittura, la fotografia, l’installazione e il video di cinque artisti posti in dialogo con la produzione artistica di Francis Bacon – con suoi capolavori, come Seated Figure, ma anche con materiali fotografici e d’archivio del suo studio e con sue opere incompiute, esposte per la prima volta in Italia. Le marionette realizzate in stoffa, creta e plastilina, nelle mani del burattinaio Nathalie Djurberg diventano lo strumento di un’ambigua critica “sacrilega” al processo di prigionia dell’essere umano, come il filo nero usato nei photosewings (fotografie cucite) e nelle performance da Annegret Soltau è il tratto distintivo della riflessione dell’artista tedesca sull’identità e sull’idea di sè. Nella serie Selbst Soltau avvolge il proprio viso con un filo nero che incide la carne deformandola e oscurandone le sembianze, in una dimensione che oscilla tra autodeterminazione ed apparente autolesionismo, mentre nella serie da-gegen-gehen produce una riflessione sul senso d’inibizione e di mancanza di libertà di movimento. Nei suoi dipinti Adrian Ghenie rappresenta celebri personaggi delle dittature europee del Novecento alterandoli attraverso l’elaborazione pittorica e il collage per negarne l’autorità storica acquisita nell’immaginario collettivo.
L’installazione site specific, realizzata appositamente per lo spazio di Palazzo Strozzi dall’artista giapponese Chiharu Shiota, nasce da un intricato intreccio di fili di lana che avvolgono porte di legno in disuso – ritrovate nei magazzini del palazzo –, simbolo della vita quotidiana e familiare, di un vissuto che non c’è più. Lo spettatore attraversandola si ritrova in una sala nella quale il tempo è immobile e gli unici oggetti presenti sono imprigionati ed impossibili da raggiungere. Il percorso termina con una spessa gomena da cantiere navale che percorre un’intera stanza e le cui estremità avvolgono e stritolano ad intervalli irregolari due massicce travi di legno ancorate ai due ingressi frontalmente opposti della sala. Quest’opera di Arcangelo Sassolino, che rischia di non reggere alle forze che essa stessa mette in atto, diventa metafora dei concetti di rischio e di fallimento che minacciano la condizione psicologica umana.

Edvard Munch 

Una mostra alla Tate Modern di Londra, aperta fino al 14 ottobre 2012, ci propone una visione nuova dell’opera del creatore dell’Urlo.
Edvard Munch: The Modern Eye dimostra come l’artista norvegese non sia stato soltanto il pittore esistenzialista per eccellenza dell’Ottocento ma, grazie ad un’attrazione per la fotografia, film e i nuovi movimenti teatrali e letterari, un pittore pienamente moderno.
Le scelte pittoriche, gli effetti stranianti e le sperimentazioni cromatiche e luministiche, si comprendono meglio una volta preso atto di queste sue diverse ricerche.
L'esposizione esplora la parte meno conosciuta della sua attività, soffermandosi sulle opere eseguite nella seconda parte della sua vita – soprattutto ritratti e autoritratti – dopo il ricovero nel 1908 per un esaurimento nervoso e, quindi, il definitivo ritorno ad Oslo.
La mostra indaga le ossessioni personali di Munch e come esse abbiano influito sulla sua arte, attraverso un percorso tematico dalle inedite suggestioni curato da Nicholas Cullinan e Shoair Mavlian. I filmati amatoriali, come le numerose foto, confermano l’ossessione di Munch per l'auto-rappresentazione e per le inquadrature e le fattezze brutali che lo specchio non è in grado di cogliere.
L’esposizione svela inoltre la predisposizione dell’artista a riprendere temi e figure nell’arco di un lungo periodo di tempo, presentando le differenti versioni di molti dei suoi capolavori come ad esempio per The Sick Child (rielaborato dal 1885 al 1927) e The Girls on the Bridge (ripreso dal 1902 al 1927).
Contemporaneamente alla mostra la galleria ha organizzato corsi e conferenze incentrate sull’artista e la sua attività artistica.

CARLO ALBERTO RASTELLI. Le sue tele parlano, ridono, urlano.

Carlo Alberto Rastelli, pittore parmense forgiatosi a Brera, è capace di dare vita a ritratti e paesaggi a metà tra iper-realismo e immaginifico. Affascinato da suggestioni visive – e non solo – eterogenee, quali la pittura di Lucian Freud e i fondi dorati di Klimt, i primissimi piani di Sergio Leone e i personaggi bestiali dei romanzi di Irvine Welsh, fino ai Simpson e all’influsso musicale dei Radiohead, Carlo attua una rilettura contemporanea e totalmente personalizzata di questi due topoi classici della storia dell’arte.
I ritratti si distinguono per la deformazione grottesca e allucinante, quasi caricaturale, dei volti. I tratti fisionomici dei personaggi delle sue tele, modellati a partire dalle fattezze dei suoi amici, infatti, si contraggono e dilatano in smorfie esagerate a tal punto da sembrare innaturali. La scelta dei colori attraverso i quali plasma la pelle e il contrasto netto tra figura umana e campiture astratte e texture geometriche che costituiscono lo sfondo e gli altri elementi dei dipinti contribuiscono a trasfigurare i soggetti ritratti (“gli amici”) in creature aliene, più simili ai protagonisti di un cartoon che a quelli della vita reale.
Nei paesaggi la figura umana scompare totalmente per lasciar spazio ad una natura fantascientifica, diremmo quasi onirica, nella quale l’artista attraverso prospettive grandangolari materializza desolati scenari post atomici, che ricordano le atmosfere dei romanzi di Philip K. Dick e James Ballard e al contempo i paesaggi romantici di Friedrich e Turner.
Carlo Alberto, che dal 2007 lavora come assistente presso lo studio dell’artista Dany Vescovi, ha partecipato a mostre collettive in Italia e all'estero, ha conseguito diversi premi e nel 2011 è stato protagonista di due mostre personali, una a Milano e una nella sua città natale.
Finalista al premio Arte 2013, facciamo il tifo per lui.
Sito web: www.carloalbertorastelli.com

“L'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità.” Pablo Picasso.
Articolo su Giacomo Cardoni​

Artista pesarese classe 1987, Giacomo Cardoni nelle sue svariate operazioni artistiche cerca di “materializzare”, senza scadere nell'ovvio e banale, il concetto di Umanità e di investigarlo per difenderlo dagli abusi e dalle delimitazioni a cui lo sottopone la contemporaneità.
Laureato in Sociologia ad Urbino e diplomato in Terapeutica Artistica all’Accademia di Brera, Giacomo utilizza la ricerca artistica – performance, illustrazioni, installazioni e laboratori d’Arte Terapia – come strumento per sviluppare veri e propri scambi relazionali, innescati dalla condivisione con lo spettatore di atti creativi.
Appassionato ed affascinato dagli intenti di Alfredo Jaar e dalla sua arte sociale, ma anche dai muri dello street artist BLU che utilizza il disegno come mezzo per portare avanti un percorso di critica, provocazione e analisi sociale profonda, dal 2010 Giacomo – che a livello di formazione artistica preferisce definirsi autodidatta non avendo in realtà mai seguito un corso tecnico – ha partecipato a numerose collettive non solo in Italia ma anche in Spagna e Portogallo e collaborato a vari progetti culturali, la maggior parte a Pesaro: Novapicena, Mitologie Urbane e Perepepè sono solo alcuni esempi.
All’interno del progetto Perepepè, tenutosi al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro fino allo scorso 21 ottobre e nato da una comunità d’artisti e cercatori che fanno riferimento ad un luogo non “fisico” ma del web chiamato Radio Pereira, Giacomo Cardoni è stato “L’ospite custode” degli spazi, delle relazioni e delle narrazioni offerte dai cittadini pesaresi in corso d’opera. Da questa performance è nato Pisaurum, una macro illustrazione a muro di 26 metri che l’artista ha disegnato nell’arco del festival – un umanoide gigante, visibile nel suo insieme da lontano, fatto di 95.153 piccoli uomini, da ultimo censimento degli abitanti di Pesaro, che si mescolano, s’incastrano e si muovono personalizzati dall’artista grazie agli aneddoti raccontati da ciascun cittadino –. Il desiderio di Giacomo di sperimentare nuove forme di scambio, di relazione, di lavoro e perchè no di fare arte, è inarrestabile. Nasce proprio in questi giorni il suo nuovo progetto – Adotta un artista – grazie al quale chiunque può diventare un Mecenate dell’arte e ospitare a casa sua il suo artista personale, commissionargli opere e aiutare Giacomo Cardoni a portare avanti la sua investigazione artistica legata alla relazione.

 

Pablo da Parigi con inediti.

250 capolavori del Museo Picasso di Parigi – dipinti, sculture e fotografie molti dei quali mai usciti dalle sale spagnole – ripercorrono le fasi fondamentali della multisfaccettata creatività di Pablo Picasso mostrando al pubblico italiano i vari mezzi espressivi e mediatici con cui l’artista si cimentò nel corso della sua lunga carriera.
Fino al 6 gennaio 2013 le sale di Palazzo Reale a Milano ospitano la grande antologica dedicata all’ineguagliabile genio dell’artista spagnolo. La mostra, pensata dalla curatrice Anne Baldassari, propone al pubblico le opere più amate dall’artista “Quelle che costituiscono la trama di una singolare autobiografia, di un diario per immagini che intreccia storia ufficiale e storia privata, che ci consente di entrare nella globalità del suo percorso creativo, cogliendone la logica interiore, offrendoci una visione inedita e illuminante del suo evolversi nel tempo”.
Il percorso espositivo prende avvio da una sezione (curata da Francesco Poli) che documenta la prima antologica dell’artista a Milano, svoltasi nel 1953 proprio nel museo affacciato su Piazza Duomo, con una serie di atti, carteggi originali e immagini fotografiche. In quell'occasione, la monumentale e drammatica Guernica fu esposta nella Sala delle Cariatidi, devastata dalle bombe dieci anni prima, a distanza di 59 anni al suo posto è stato posizionato un grande schermo sul quale sono proiettate, a grandezza naturale, le varie fasi di produzione del quadro monumentale.
Tra i capolavori esposti, La Celestina (1904) realizzata nel cosiddetto Periodo Blu, Due donne che corrono sulla spiaggia (1922) nel Periodo Classico, il Ritratto di Dora Maar (1937) nel quale le linee cubiste sono definitivamente abbandonate per la sinuosità delle forme e per il colore, scelta che lo avvicina alla corrente Surrealista, Massacro in Corea (1951) attraverso cui si impegna politicamente a favore dei repubblicani spagnoli, fino alle ultime opere degli anni ’50 e ’60, anni che costituiscono per Picasso il tempo dei bilanci.
Estremamente affascinanti, poi, risultano le sculture disseminate qua e là e che sembrano fondersi con le sue pitture, diventandone completamento. La Capra (1950), ad esempio, realizzata con un cestino, foglie di palma, ceramica, legno, metallo e stucco e che dire ancora di Testa di donna che nasce da uno scolapasta (1929-30) o di Testa di toro (1942), modellata nel bronzo con la forma di una sella e di un manubrio di una bicicletta.
Un percorso unico, e dalla completezza straordinaria, alla scoperta di uno dei più grandi Maestri del Novecento. Imperdibile.

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