Asking Shelter
Asking Shelter – letteralmente “chiedere rifugio” – è il titolo della mostra di Claudia Losi inaugurata mercoledì 18 gennaio alla galleria Monica De Cardenas di Milano, che attraverso opere inedite si sviluppa attorno al concetto di rifugio e a quelli di trasformazione e di viaggio. Temi più che mai attuali, specialmente in questo periodo storico-sociale, in cui il viaggio incarna per tantissimi la speranza di trovare riparo, accoglienza e protezione in una nuova “casa”, in una dimora nella quale poter trasformare il proprio presente e il proprio destino, sia che si fugga dagli orrori di una guerra o da un paese “apparentemente” senza opportunità. Ogni rifugio, però, come asserisce la sua stessa definizione, implica la possibilità di insidie e pericoli, materiali o spirituali, reali o presunti.
Claudia Losi è da sempre affascinata dalla relazione tra uomo e natura – basti ripensare alle sue recenti esposizioni alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia (How do I imagine being there?) e alla Triennial of Fiber Art 2016 di Hangzhou in Cina (con l’opera About Proximity), focalizzate sull’esplorazione del mondo naturale e animale – e dal viaggio come racconto ed esperienza di conoscenza. Il percorso espositivo di Asking Shelter è da questo punto di vista un invito emblematico alla scoperta individuale. L’artista, infatti, ha scelto di dedicare ciascuna stanza della galleria a un solo progetto, che accostandosi agli altri come una tessera di un domino, crea uno speciale ecosistema aperto, fruibile sia nel suo complesso sia separatamente.
Nella prima stanza è esposta Sphere of influence, l’immagine fotografica di un ovulo femminile fecondato, tratta da un libro di scienze degli anni Sessanta e stampata su carta, dal cui vetro frontale fuoriescono fili di cotone che oltre a trasformarla in un’immagine tridimensionale, la legano “a filo doppio” con la scultura appesa davanti. L’uso ricorrente che Claudia fa del cucire dev’essere considerato come un tentativo di trasporre i tempi lenti e dilatati delle trasformazioni naturali nel processo creativo delle sue opere, che così facendo diventano metafora del groviglio di relazioni interpersonali, storie e diverse sensibilità e specificità culturali che, di volta in volta, influiscono sull’ideazione e sulla realizzazione di ciascun lavoro. Molte delle opere in mostra, ad esempio, devono la loro “forma” finale ad alcune collaborazioni strette con artigiani e professionisti di diversi settori. Di fronte, l’opera sospesa Untitled (struttura globulare), che richiama alla mente la moltiplicazione cellulare successiva alla fecondazione dell’ovulo, nasce dall’unione di globuli di fili di seta simili a gomitoli, sui quali l’artista ha ricamato figure animali riprese dal repertorio dell’arte preistorica. Questi leggerissimi dettagli – insieme alla frase The fated human desire for sense making (L’imprescindibile desiderio umano di fare senso) stampata su un poster appeso all’ingresso, che fa parte di una serie limitata distribuita durante l’opening – introducono concettualmente alla stanza adiacente. Al suo interno, sono appese tre “cascate”, sagomate tramite la sovrapposizione di stoffe di seta pura di diversa lunghezza, alcune di quasi 6 metri, abitate da collage di animali ritagliati da vecchi libri, che fusi insieme danno alla luce nuove forme animali. Per questo progetto, dopo aver fatto stampare digitalmente le effigi a Como, Claudia ha spedito le stoffe in Puglia, per farle tingere con colori naturali, ottenuti da piante tintorie, sulle tonalità del verde e del rosso. Il valore aggiunto acquisito dall’opera grazie a questa scelta è la mutabilità imprevedibile del colore che reagisce alle diverse caratteristiche atmosferiche dei luoghi in cui questi moderni arazzi prendono dimora nel tempo.
Avanzando nel percorso si arriva al nucleo centrale della mostra, rappresentato da una serie di sculture che ha dato origine, quasi due anni fa, all’intero progetto e da cui l’esposizione ha preso il nome. A partire da rami di rosa pieni di spine raccolti negli anni, unici e diversi gli uni dagli altri, e grazie al lavoro congiunto con una fonderia milanese, sono nate delle proto-capanne, essenziali e dall’apparenza fragile e caduca, prodotte con la saldatura di calchi in bronzo. La loro dimensione è quella di modellini, ma Claudia Losi ci tiene a sottolineare la sua speranza di poterle un giorno realizzare in modo che sia possibile entrarci fisicamente. Su altri rami di grandi dimensioni rimasti isolati e disseminati per le sale, ha fatto saldare riproduzioni realizzate in argento da una giovane orafa di Membracidi, piccoli insetti il cui dorso ha assunto da una generazione all’altra forme di vario tipo per mimetizzarsi e sopravvivere. Per l’occasione questi animali muta-forma hanno assunto, ovviamente, la forma delle spine di rosa. Nell’ultima stanza, dedicata al progetto Beating Wings – Making Words i media impiegati sono il marmo e il video. Su alcune vecchie lastre di marmo “restaurate”, attraverso incisioni laser, stratificate e appena visibili, l’artista rappresenta farfalle e falene – riferimento simbolico spesso usato per esprimere la trasformazione e il ciclo della vita – nell’atto di accoppiarsi o di alimentarsi, mentre i brevi video proiettati a parete, simili, come spiega l’artista, a piccole cartoline animate, mostrano il momento della loro uscita dal bozzolo e della morte.
La mostra rimarrà allestita fino al 18 marzo 2017.