TUTTE LE FORME DELL'ALTRO
Paolo Paggi nasce a Pesaro nel 1986, dove frequenta il liceo scientifico G.Marconi e l’istituto d’arte Mengaroni e dove si diploma coi massimi voti in Arti Applicate alla Ceramica. Negli anni successivi amplia la propria formazione artistica iscrivendosi prima all’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove si diploma al corso di Arti Visive, ed in seguito all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano dove si specializza in Comunicazione e Organizzazione per l’arte Contemporanea, discutendo alla fine del biennio la tesi dal titolo Post-Global – riflessione sull’arte contemporanea nell’epoca post-globale.
Dal 2007 ad oggi Paolo partecipa a svariate collettive – non solo in Italia, ma anche in Portogallo – tessendo relazioni e legami con artisti italiani e stranieri dai quali spesso sono nate collaborazioni durature e soprattutto progetti di arte performativa focalizzati sulla necessità di educare il pubblico a riflettere sull’arte contemporanea.
Numerose le performance all’attivo: nel luglio 2009 partecipa con la performance Garbage Human Garbage alla collettiva 1Floor alla Fabrica do Braço de Prata di Lisbona curata insieme a Cylixe; nel giugno 2010 mette in scena Plastic Matrix alla collettiva Brera Contemporanea allo Spazio Taccori a Milano; nell’ottobre 2010 partecipa con la performance Tenerezze – Affections alla collettiva Echoes from the Spoon river curata da Carlo Cecconi all’Alexander Museum di Pesaro e apre l’evento collaterale alla biennale di architettura di Venezia, Irukandji, insieme ad artisti come Cesare Pietroiusti e Giovanni Oberti, con la performance multimediale Waves.
Nel luglio 2011 partecipa insieme a Giacomo Cardoni – suo amico d’infanzia – con la performance Hunting hunters, all’evento Diario di un eterotopia organizzato da Carlo Cecconi all’Isola di Sant’Andrea (Venezia), un evento collaterale della biennale di Venezia.
Tramite le performances, l’artista pesarese colloca il proprio corpo in interazione con altre persone per indagare le strutture della “relazione”, diventando egli stesso un “luogo” per il dialogo interpersonale e una “macchina” per la comunicazione, spesso interagendo con oggetti caricati di un valore simbolico tramite l’azione performativa.
Oltre che artista – performer, disegnatore, scultore (tecniche miste e pratiche site-specific) – Paolo Paggi è un curatore ed organizzatore di mostre ed eventi culturali, impegnato nel tentativo di creare Network di operatori artistici, attività che porta avanti fin dal 2009, anno in cui ha partecipato come relatore, in collaborazione con Carlos Alcobia, all’evento InterFlugs a Berlino, trattando il tema della Collaborative Art. Quello che fa come comunicatore è creare dei contenitori, dei punti d’incontro, dove artisti e non, possano far nascere collaborazioni, idee, scontri e discussioni.
Solo per citare alcuni dei progetti organizzati e seguiti da Paolo: con il collettivo Sale&Catrame ha condotto tre giorni di workshop sul tema della memoria soggettiva e della memoria della città, all’interno dell’evento PopUp Lisboa tenutosi a Lisbona nel novembre 2010; nel gennaio 2011 ha partecipato alla residenza per curatori della Dena Foundation for Contemporary Art, seguendo la curatrice Francesca di Nardo nell’allestimento della mostra Beyond the Dust – Artists Documents Today alla Fondation d’entreprise Ricard di Parigi; e nel settembre e ottobre 2012, ha curato la residenza artistica Mitologie Urbane negli spazi della Fondazione Pescheria Centro Arti Visive di Pesaro.
L’oggetto centrale della ricerca artistica di Paolo Paggi è l’ALTRO. La sua poetica dell’Altro non è però da intendere come una mera ricerca del diverso o dell’altrove interpretato come qualcosa al di fuori di sè, ma come un cammino teorico e pratico la cui struttura non esclude a priori nessuna deviazione, volontaria o involontaria, verso luoghi ignoti.
L’artista, in poche parole, nel momento in cui prende in mano uno strumento per dar forma all’immagine nata nella sua testa, lascia che sia il gesto stesso a creare quello successivo arrivando spesso a produrre una forma a cui razionalmente non aveva pensato. Il perdersi durante il cammino di creazione diventa una pratica per ritrovarsi.
Paolo Paggi, inoltre, porta le sue sperimentazioni artistiche ad indagare le periferie, ciò che limita e confina, e che J.R.R. Tolkien definirebbe “terre di mezzo” del vivere e del sapere.
“E’ un lavoro di stratificazioni e di passaggi. Disegno, cancello, ricreo, distruggo, fino a quando vedo un’immagine che sento non mia. Ed ecco così uscire l'altro che è in me. L'occhio vede qualcosa che prima la mente non aveva nemmeno immaginato”, spiega Paolo Paggi.
Attualmente sta portando avanti vari progetti e si sta aprendo al mondo delle immagini fotografiche e della documentazione. Tra i progetti relazionali che sta seguendo in questo periodo vi è quello, sviluppato in collaborazione con Giacomo Cardoni, di riunirsi con un gruppo di artisti a Pesaro e provare a lavorare su alcuni luoghi urbani “dimenticati” della città. Da settembre ad oggi, ad esempio, grazie alla partecipazione di Lincoln Diniz, un artista invitato, un sottopasso a Pesaro è diventato un luogo d’incontro mensile per vari appuntamenti artistici clandestini. E questo è solo l’inizio.
ANDY WARHOL'S STARDUST
Per l'estate 2013, il Museo del Novecento di Milano, invita tutti gli appassionati d'arte del dopo guerra a visitare la mostra di stampe della collezione Bank of America Merrill Lynch – uno dei principali sponsor del Museo insieme a Finmeccanica – di Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 - New York, 1987).
L'esposizione – che rientra nel programma Art in Our Communities, finanziato da Bank of America Merrill Lynch per aiutare ad avvicinare le persone di culture diverse del mondo attraverso il linguaggio condiviso dell'arte, e che giunge in Italia dopo essere stata allestita nei mesi precedenti alla Dulwich Picture Gallery di Londra – offre ai visitatori una selezione molto approfondita della produzione serigrafia dell'icona americana della Pop Art.[...]
Il percorso cronologico spazia dalle celebri stampe delle lattine della Campbell’s Soup, dei Flowers e dei Grapes, eseguite, in gran parte con l’aiuto degli assistenti della Factory, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ai ritratti di Muhammad Alì, Marilyn Monroe ed altri Myths – tra cui eroi dei fumetti, drag queens di New York e pensatori della cultura del XX secolo – realizzate negli anni Ottanta, quando Warhol ricominciò con vigore a dedicarsi alla produzione pittorica dipingendo un quadro al giorno.
L’approccio artistico che Andy Warhol usa per realizzare le sue stampe serigrafiche uniforma e standardizza i volti dei diversi protagonisti che ritrae uguagliandoli a livello estetico e di importanza.
L’artista, infatti, si serve della stessa tecnica, dello stesso formato e taglio dell’immagine e della medesima tavolozza per realizzare i ritratti di persone reali e immaginarie, abbassando entrambe le categorie al livello delle merci, diventate in quegli stessi anni ben più importanti degli individui stessi.
Il titolo scelto per la mostra evoca la “polvere di stelle” in quanto l’artista era solito utilizzare la polvere di diamante per rifinire ed impreziosire le stampe, ma anche per l’aura di immortalità che questa tecnica dona ai personaggi ritratti.
La ricerca artistica di Warhol, e in particolar modo le sue opere serigrafiche numerate e meccanicamente stampate, era volta a porre in evidenza i disvalori intrinseci alla comunicazione di massa, come lo svuotamento e la degradazione dei contenuti conseguente alla consumazione mediatica dell’immagine. E’ proprio attraverso la ripetizione seriale, intesa sia come affiancamento d’immagini identiche sia come molteplicità dell’opera – prodotta in più esemplari e riproducibile all’infinito –, che si esprime appieno la rivoluzione artistica desiderata e favorita da Andy Warhol.
All’interno di un allestimento lineare e pulito – le opere sono montate su pareti ricoperte di Pvc bianco in modo da creare un unico grande corridoio di immagini molto simile alla corsia di un supermercato ricolmo di merci –, ad opera dell’architetto Fabio Fornasari che insieme ad Italo Rota ideò l’intera architettura del Museo, la giovane curatrice Laura Calvi ha deciso di intervallare le diverse serie serigrafie con dei brevi testi, simili a tweet, inseriti in bolle colorate che richiamano i bubble dei fumetti e le pop-up dei social network, invece di ricorrere ai tradizionali pannelli esplicativi. Una scelta al tempo stesso innovativa e davvero azzeccatissima trattandosi di Pop Art. Un’altra nota molto Pop dell’esposizione è sicuramente la scelta di terminare il percorso della mostra con l’opera Andy Mouse di Keith Haring. Un omaggio dell’amico, conosciuto nel 1983 a New York nonostante fossero entrambi originari di Pittsburgh, all’arte dissacrante, popolare e democratica di Warhol.
Il Museo, in collaborazione con i servizi del Settore Educazione del Comune di Milano, ha organizzato attività didattiche per bambini ed adolescenti che dureranno per tutto il periodo estivo ed, inoltre, la compagnia di danza contemporanea Progetto D’Arte proporrà una serie di laboratori nello spazio espositivo ed una performance adatta ai giovanissimi.
COLPA D'ALFREDO
Dopo pionieri dell’arte del Novecento – Pablo Picasso e Modigliani e gli altri artisti maledetti – e un pioniere della musica contemporanea – Bob Dylan –, Palazzo Reale a Milano mette in scena un’altra personalità di spicco del secolo scorso, Alfred Hitchcock, con un’esposizione di fotografie dei backstage e di frammenti dei capolavori del Maestro del brivido di proprietà della Universal Pictures, il tutto condito da una serie d’approfondimenti video.
A più di trent’anni dalla sua morte ed in occasione del cinquantesimo anniversario del film cult Gli Uccelli, lo spazio espositivo milanese celebra la magnifica capacità del regista inglese di combinare suspense, terrore ed ironia attraverso un’analisi dettagliata degli elementi – visivi, sonori e cinematografici – che costituiscono le pellicole da lui prodotte tra il 1940 e il 1976 (il suo così detto “periodo americano”) e che hanno segnato la storia della cinematografia mondiale: Psyco (1960), La finestra sul cortile (1954), La donna che visse due volte (1958) e molti altri.
La mostra Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures non è stata concepita in modo da attrarre solo gli appassionati di cinema o del regista in sè, ma anche per presentare a semplici visitatori curiosi il legame esistente tra il lavoro e la vita di uno dei più importanti protagonisti della Storia del Cinema Internazionale; il quale, infatti, amava ripetere che “il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”.
L’esposizione presenta settanta fotografie e altrettanti contenuti speciali, tra i quali approfondimenti video realizzati dal famoso critico cinematografico Gianni Canova, le colonne sonore dei suoi lungometraggi – in primis le partiture firmate dal compositore statunitense Bernard Herrmann – ed infine un montaggio con tutte le apparizioni fatte da Hitchcock nei suoi film, diventate negli anni un marchio del regista e un elemento sempre più d’interesse per il pubblico.
Una sala del percorso espositivo è, inoltre, interamente dedicata al film Gli Uccelli. Questa pellicola del 1963, oltre a compiere 50 anni, infatti, rappresenta il risultato massimo della cinematografia hitchcockiana che per la sua complessità tecnica richiese quasi tre anni di lavorazione.
L’obiettivo della mostra è quindi sia quello di mostrare l’abilità registica di Hitchcock ancora oggi ineguagliata – dall’uso pionieristico del montaggio e della macchina da presa, alla capacità di fondere umorismo e tensione tenendo gli spettatori incollati allo schermo e col fiato sospeso solo grazie all’uso di una doccia di un motel o ad uno stormo di uccelli impazziti – sia quello di accompagnare il visitatore nel “dietro le quinte” dei principali capolavori del Mago della suspense, aiutando anche i più incompetenti – cinematograficamente parlando – ad entrare in relazione con i suoi “trucchi” scoprendo particolari curiosi sulla realizzazione delle scene più celebri, sull'impiego dei primi effetti speciali, sugli attori e sulla vita privata del grande maestro.
L’allestimento, in netto contrasto con gli austeri saloni di Palazzo Reale, ricrea alla perfezione l’atmosfera thriller dei gialli del regista, la cui personalità noir è sicuramente il centro focale della mostra. I fotogrammi in bianco e nero e a colori delle pellicole sono, infatti, accompagnati dai temi musicali che hanno contribuito a donare a quelle scene un’impronta di suspense: ad esempio il suono ansioso dei violini in Psyco, il verso elettronico dei corvi in Gli Uccelli e il suono assordante che accompagna la caduta in La donna che visse due volte e Io ti salverò (1945).